7.2.11

L'insostenibile leggerezza dell'essere.



Ovviamente buona parte di chi leggerà il titolo di quest'intervento, o almeno chi conosce un minimo Kundera, penserà subito ad una recensione o a riflessioni legate al libro. Non è così.
(Se non vi va di leggere lunghe riflessioni un po' deliranti e contorte finite di leggere adesso.)
Viene da chiedersi il perchè della scelta di questo titolo per questo post dal contenuto ancora inespresso: si tratta di una sensazione,  ritrovarsi a pensare in una notte qualunque, tra riflessioni qualunque, a quanto il fatto di continuare a vivere in maniera serena, o perlomeno accettabile, sia legato in gran parte all'esigenza di navigare in superficie, effettuando solo alcune immersioni occasionali.

Disegno la metafora: La vita è il mare; noi siamo esseri acquatici; la vita di ogni giorno, con le sue questioni quotidiane, è la superficie; le immersioni sono le questioni morali o le grandi battaglie che si intraprendono.

La riflessione era legata alla quantità di immersioni che mi piacerebbe fare, vorrei vivere sott'acqua! Il mio organismo di essere acquatico però non ce la fa. E'(scusate la e+', ma non mi va di andare a recuperare la è maiuscola accentata) la storia di qualcuno che vorrebbe trovare un equilibrio, abbandonare la natura del suo essere che lo richiama alla superficie, perchè più leggera dell'acqua. Allo stesso tempo questo essere non riesce a sopportare la propria natura di esclusiva superficie: è una storia raccontata tante volte attraverso le fiabe, ma solo adesso è chiara.

Mi scuso per il disordine nella scrittura e per lo stile imperfetto ma, come da tag, mi sono lasciato un po' andare ad un flusso di coscienza.

Sarei tanto curioso di sapere quanti esseri di superficie condividano il mio attuale destino...


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